Didone abbandonata, partitura ms. A-Wn, 1763

 e ignota al passaggiero
 Cartagine sarà.
 
    Se a te del mio perdono
 meno è la morte acerba,
1315non meriti superba
 soccorso, né pietà.
                                    Cadrà, et cetera (A Didone e parte)
 
 SCENA XX
 
 DIDONE, SELENE, OSMIDA
 
 OSMIDA
 Cedi a Iarba o Didone.
 SELENE
 Conserva colla tua la nostra vita.
 DIDONE
 Solo per vendicarmi
1320del traditor Enea,
 ch’è la prima cagion de’ mali miei,
 l’aure vitali io respirar vorrei.
 Ah faccia il vento almeno,
 faccian almen gli dei le mie vendette.
1325E folgori e saette
 e turbini e tempeste
 rendano l’aure e l’onde a lui funeste.
 Vada ramingo e solo e la sua sorte
 così barbara sia
1330che si riduca ad invidiar la mia.
 SELENE
 Deh modera il tuo sdegno, anch’io l’adoro
 e soffro il mio tormento.
 DIDONE
                                               Adori Enea?
 SELENE
 Sì, ma per tua cagion...
 DIDONE
                                             Ah disleale
 tu rivale al mio amor?
 SELENE
                                           Se fui rivale
1335ragion non hai...
 DIDONE
                                 Dagl’occhi miei t’invola,
 non accrescer più pene
 ad un cor disperato.
 SELENE
 (Misera donna ove la guida il fato!) (Parte)
 OSMIDA
 Crescon le fiamme e tu fuggir non curi?
 DIDONE
1340Mancano più nemici? Enea mi lascia,
 trovo Selene infida,
 Iarba m’insulta, e mi tradisce Osmida.
 Ma che feci empi numi? Io non macchiai
 di vittime profane i vostri altari.
1345Né mai di fiamma impura
 feci l’are fumar per vostro scherno.
 Dunque perché congiura
 tutto il ciel contro me, tutto l’inferno?
 OSMIDA
 Ah pensa a te, non irritar gli dei.
 DIDONE
1350Che dei? Son nomi vani,
 son chimere sognate o ingiusti sono.
 OSMIDA
 (Gelo a tanta empietade! E l’abbandono). (Parte.)
 
 SCENA ULTIMA
 
 DIDONE
 
 DIDONE
 Ah che dissi infelice! A quell’eccesso
 mi trasse il mio furore!
1355Oh dio cresce l’orrore. Ovunque io miro
 mi vien la morte e lo spavento in faccia,
 trema la reggia e di cader minaccia.
 Selene, Osmida, ah tutti,
 tutti cedeste alla mia sorte infida,
1360non v’è chi mi soccorra o chi m’uccida.
 
    Vado... Ma dove?... Oh dio!
 Resto... Ma poi, che fo?
 Dunque morir dovrò
 senza trovar pietà?
 
1365E v’è tanta viltà nel petto mio?
 No, no. Si mora. E l’infedele Enea
 abbia nel mio destino
 un augurio funesto al suo camino.
 Precipiti Cartago,
1370arda la reggia e sia
 il cenere di lei la tomba mia. (Si getta tra le fiamme)
 
 Il fine
 
 
 
 DIDONE ABBANDONATA
 
 
    Opera drammatica da rappresentarsi nel regio teatro del Buon Ritiro, festeggiandosi il gloriosissimo giorno natalizio di sua maestà cattolica il re nostro signore don Ferdinando VI, per comando di sua maestà cattolica la regina nostra signora, l’anno MDCCLII.
 
 Sacra reale cattolica maestà,
    alla memoria del glorioso natale della reale cattolica maestà vostra, cui tributano in questo giorno con invidiabile emulazione voti ed applausi i vostri numerosi regni vassalli, consagra pure il zelo di mia incumbenza la Didone abbandonata, uno dei primi parti drammatici della feconda vena del tanto rinomato abbate Pietro Metastasio, da lui medesimo, senza pregiudizio della nobile tessitura e naturale catastrofe dell’azione, ridotto elegantemente alla brevità dovuta alle circostanze ed al comodo di questo regio teatro. Il presentarne alla maestà vostra la stampa è effetto di quel coraggio che può solo inspirare alla mia cieca ubbidienza il sovrano cenno della maestà della regina mia signora, siccome cagione di mia fiducia per un clementissimo accoglimento è il cumulo sempre maggiore delle distinte grazie che dal generoso cuore di ambedue in me tuttora derivano. Potrei solo diffidare della publica accettazione ma trovo così occupato l’animo di questi fortunati sudditi ad esaltare in sì celebre giorno le sublimi e rare doti, delle quali adornò la maestà vostra a loro vantaggio la benefica mano del creatore, che non posso neppur dubitare di un favorevol giudizio per qualunque debil fatica che da me si destini a rammentarne benché in picciola parte le glorie. Quindi è che pieno di tante ben fondate lusinghe passo ad umiliarmi con profondissima venerazione a’ piedi della reale cattolica maestà vostra obligatissimo, ossequiosissimo e fedelissimo servitore.
 
    Carlo Broschi Farinelli
 
 
 ARGOMENTO
 
    Didone vedova di Sicheo, dopo esserle stato ucciso il marito da Pigmalione suo fratello re di Tiro, fuggì con immense ricchezze in Affrica dove comprato sufficiente terreno edificò Cartagine. Fu ivi richiesta in moglie da molti, e particolarmente da Iarba re de’ Mori, e sempre ricusò, dicendo voler serbar fede al cenere dell’estinto consorte. Intanto Enea troiano, essendo stata distrutta la sua patria da’ Greci, mentre andava in Italia, fu portato da una tempesta nelle sponde dell’Affrica e ricevuto e ristorato da Didone, la quale ardentemente se ne invaghì; ma mentre egli compiacendosi dell’affetto della medesima si tratteneva in Cartagine, fu dagli dei comandato che abbandonasse quel cielo e che proseguisse il suo cammino verso Italia dove gli promettevano che doveva risorgere una nuova Troia. Egli partì e Didone disperatamente, dopo aver invano tentato di trattenerlo, si uccise.
    Tutto ciò si ha da Virgilio, il quale con un felice anacronismo unisce il tempo della fondazione di Cartagine agli errori d’Enea.
    Da Ovidio nel terzo libro de’ Fasti si raccoglie che Iarba s’impadronisse di Cartagine dopo la morte di Didone e che Anna sorella della medesima, la quale chiameremo Selene, fosse occultamente anch’ella invaghita d’Enea.
    Per comodità della rappresentazione si finge che Iarba, curioso di veder Didone, s’introduca in Cartagine come ambasciatore di sé stesso sotto nome di Arbace.
    La scena si finge in Cartagine.
 
 
 PERSONAGGI
 
 DIDONE regina di Cartagine, amante di Enea
 (la signora donna Regina Mingotti napolitana, virtuosa di musica)
 ENEA
 (il signore don Giovanni Manzoli, virtuoso di musica al servizio della Real Cappella di sua maestà siciliana)
 IARBA re de’ Mori sotto nome d’Arbace
 (il signore don Domenico Panzacchi bolognese, virtuoso di musica)
 SELENE sorella di Didone e amante occulta di Enea
 (la signora donna Teresa Castellini, virtuosa di musica al servizio di sua maestà cattolica)
 ARASPE confidente di Iarba ed amante di Selene
 (il signore don Francesco Giovannini, virtuoso di musica al servizio della Cappella Reale di sua maestà cattolica)
 OSMIDA confidente di Didone
 (la segnora donna Elisabetta Uttini virtuosa di musica al servizio di sua maestà cattolica)
 
    Comparse di guardie reali, paggi con Didone, seguaci troiani con Enea, mori con Iarba
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: luogo magnifico destinato per le publiche udienze con trono da un lato, veduta in prospetto della città di Cartagine che sta edificandosi; atrio; tempio di Nettuno con simulacro del medesimo.
    Nell’atto secondo: appartamenti reali con tavolino e sedia; cortile regio; gabinetto con sedie.
    Nell’atto terzo: porto di mare con navi per l’imbarco di Enea; arborata tra la città e il porto; reggia con veduta della città di Cartagine in prospetto che poi s’incendia; reggia di Nettuno.
 
    La musica è del signor don Baltassarro Galluppi detto il Buranello, maestro di musica del pio ospitale de’ Mendicanti in Venezia.
    Le scene dipinte di vaga e nuova invenzione sono del celebre e rinomato pittore ed architetto signor don Antonio Iolli modonese.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
  Luogo magnifico destinato per le publiche udienze con trono da un lato. Veduta in prospetto della città di Cartagine che sta edificandosi.
 
 ENEA, SELENE, OSMIDA
 
 ENEA
 No principessa, amico,
 sdegno non è, non è timor che muove
 le frigie vele e mi trasporta altrove.
 So che m’ama Didone,
5purtroppo il so, né di sua fé pavento;
 l’adoro e mi rammento
 quanto fece per me, non sono ingrato.
 Ma ch’io di nuovo esponga
 all’arbitrio dell’onde i giorni miei
10mi prescrive il destin, voglion gli dei.
 E son sì sventurato
 che sembra colpa mia quella del fato.
 SELENE
 Se cerchi al lungo error riposo e nido,
 te l’offre in questo lido
15la germana, il tuo merto, il nostro zelo.
 ENEA
 Riposo ancor non mi concede il cielo.
 SELENE
 Perché?
 OSMIDA
                  Con qual favella
 il lor voler ti palesaro i numi?
 ENEA
 Osmida, a questi lumi
20non porta il sonno mai suo dolce oblio
 che il rigido sembiante
 del genitor non mi dipinga innante.
 «Figlio» ei dice e l’ascolto «ingrato figlio,
 quest’è d’Italia il regno
25che acquistar ti commise Apollo ed io?
 L’Asia infelice aspetta
 che in un altro terreno,
 opra del tuo valor, Troia rinasca.
 Tu ’l promettesti; io nel momento estremo
30del viver mio la tua promessa intesi,
 allor che ti piegasti
 a baciar questa destra e mel giurasti.
 E tu fra tanto ingrato
 alla patria, a te stesso, al genitore
35qui nell’ozio ti perdi e nell’amore?
 Sorgi, de’ legni tuoi
 tronca il canape reo, sciogli le sarte»;
 mi guarda poi con torvo ciglio e parte.
 SELENE
 Gelo d’orror. (Dal fondo della scena cominciano a comparire le guardie di Didone)
 OSMIDA
                            (Quasi felice io sono.
40Se parte Enea, manca un rivale al trono).
 SELENE
 Se abbandoni il tuo bene
 morrà Didone (e non vivrà Selene).
 OSMIDA
 La regina s’appressa.
 ENEA
 (Che mai dirò?)
 SELENE
                                 (Non posso
45scoprire il mio tormento).
 ENEA
 (Difenditi mio core, ecco il cimento).
 
 SCENA II
 
 DIDONE con seguito e detti
 
 DIDONE
 Enea d’Asia splendore,
 di Citerea soave cura e mia,
 vedi come a momenti
50del tuo soggiorno altera
 la nascente Cartago alza la fronte.
 Frutto de’ miei sudori
 son quegli archi, que’ templi e quelle mura.
 Ma de’ sudori miei
55l’ornamento più grande Enea tu sei.
 Tu non mi guardi e taci? In questa guisa
 con un freddo silenzio Enea m’accoglie?
 Forse già dal tuo core
 di me l’imago ha cancellata amore?
 ENEA
60Didone alla mia mente,
 giuro a tutti gli dei, sempre è presente.
 Né tempo o lontananza
 potrà sparger d’obblio,
 questo ancor giuro ai numi, il foco mio.
 DIDONE
65Che proteste! Io non chiedo
 giuramenti da te; perché io ti creda
 un tuo sguardo mi basta, un tuo sospiro.
 OSMIDA
 (Troppo s’inoltra).
 SELENE
                                     (Ed io parlar non oso).
 ENEA
 Se brami il tuo riposo,
70pensa alla tua grandezza;
 a me più non pensar.
 DIDONE
                                          Che a te non pensi?
 Io che per te sol vivo? Io che non godo
 i miei giorni felici
 se un momento mi lasci?
 ENEA
                                                Oh dio! Che dici!
75E qual tempo scegliesti? Ah! troppo, troppo
 generosa tu sei per un ingrato.
 DIDONE
 Ingrato Enea! Perché? Dunque noiosa
 ti sarà la mia fiamma.
 ENEA
                                           Anzi giammai
 con maggior tenerezza io non t’amai.
80Ma...
 DIDONE
             Che?
 ENEA
                         La patria, il cielo...
 DIDONE
 
    Parla.
 
 ENEA
 
                 Dovrei... Ma no...
 L’amore... oh dio, la fé...
 Ah! Che parlar non so,
 spiegalo tu per me. (Ad Osmida e parte)
 
 SCENA III
 
 DIDONE, SELENE, OSMIDA
 
 DIDONE
85Parte così, così mi lascia Enea?
 Che vuol dir quel silenzio? In che son rea?
 SELENE
 Ei pensa abbandonarti.
 Contrastano quel core,
 non so chi vincerà, gloria ed amore.
 DIDONE
90È gloria abbandonarmi?
 OSMIDA
 (Si deluda). Regina,
 il cor d’Enea non penetrò Selene.
 Dalla reggia de’ Mori
 qui giunger dee l’ambasciator Arbace.
 DIDONE
95Che perciò?
 OSMIDA
                         Le tue nozze
 chiederà il re superbo e teme Enea
 che tu ceda alla forza e a lui ti doni.
 Perciò così partendo,
 fugge il dolor di rimirarti...
 DIDONE
                                                    Intendo.
100Vanne, amata germana,
 dal cor d’Enea sgombra i sospetti e digli
 che a lui non mi torrà se non la morte.
 SELENE
 (A questo ancor tu mi condanni, o sorte!)
 
    Dirò che fida sei,
105su la mia fé riposa;
 sarò per te pietosa,
 (per me crudel sarò).
 
    Sapranno i labbri miei
 scoprirgli il tuo desio.
110(Ma la mia pena oh dio!
 come nasconderò). (Parte)
 
 SCENA IV
 
 DIDONE e OSMIDA
 
 DIDONE
 Venga Arbace qual vuole,
 supplice o minaccioso, ei viene invano;
 in faccia a lui pria che tramonti il sole,
115ad Enea mi vedrà porger la mano.
 Solo quel cor mi piace.
 Sappialo Iarba.
 OSMIDA
                               Ecco s’appressa Arbace.
 
 SCENA V
 
 IARBA sotto nome d’Arbace, ARASPE e detti
 
  Mentre al suono di barbari stromenti si vedono venire da lontano Iarba ed Araspe a cavallo con seguito di mori ed altre nazioni, comparse che conducono tigri, leoni e portano altri doni per presentare alla regina, Didone servita da Osmida va sul trono, alla destra del quale rimane Osmida. Due cartaginesi portano fuori i cussini per l’ambasciatore affricano e li situano lontano ma in faccia al trono. Iarba ed Araspe smontando da cavallo si fermano sull’ingresso e non intesi dicono fra loro:
 
 ARASPE
 Vedi mio re...
 IARBA
                            T’accheta.
 Fin che dura l’inganno,
120chiamami Arbace e non pensare al trono.
 Per ora io non son Iarba e re non sono.
 Didone, il re de’ Mori (Avvanzandosi)
 a te de’ cenni suoi
 me suo fedele apportator destina.
125Io te l’offro qual vuoi
 tuo sostegno in un punto o tua ruina.
 Queste che miri intanto
 spoglie, gemme, tesori, uomini e fere,
 che l’Affrica soggetta a lui produce,
130pegni di sua grandezza in don t’invia,
 nel dono impara il donator qual sia.
 DIDONE
 Mentr’io n’accetto il dono
 larga mercede il tuo signor riceve;
 ma s’ei non è più saggio,
135quel ch’ora è don può divenire omaggio.
 (Come altiero è costui). Siedi e favella.
 ARASPE
 (Qual ti sembra, o signor?) (Piano a Iarba)
 IARBA
                                                     (Superba e bella). (Piano ad Araspe)
 Ti rammenta, o Didone,
 qual da Tiro venisti e qual ti trasse
140disperato consiglio a questo lido.
 Del tuo germano infido
 alle barbare voglie, al genio avaro
 ti fu l’Affrica sol schermo e riparo.
 Fu questo, ove s’innalza
145la superba Cartago, ampio terreno
 dono del mio signore e fu...
 DIDONE
                                                    Col dono
 la vendita confondi...
 IARBA
 Lascia pria ch’io favelli e poi rispondi.
 DIDONE
 (Che ardir!) (Piano ad Osmida)
 OSMIDA
                           (Soffri). (Piano a Didone)
 IARBA
                                             Cortese
150Iarba il mio re le nozze tue richiese,
 tu ricusasti, ei ne soffrì l’oltraggio,
 perché giurasti allora
 che al cener di Sicheo fede serbavi.
 Or sa l’Affrica tutta
155che dall’Asia distrutta Enea qui venne.
 Sa che tu l’accogliesti e sa che l’ami;
 né soffrirà che venga
 a contrastar gli amori
 un avanzo di Troia al re de’ Mori.
 DIDONE
160E gli amori e gli sdegni
 fian del pari infecondi...
 IARBA
 Lascia pria che io finisca e poi rispondi.
 Generoso il mio re di guerra invece
 t’offre pace, se vuoi.
165E in ammenda del fallo
 brama gli affetti tuoi; chiede il tuo letto;
 vuol la testa d’Enea.
 DIDONE
                                       Dicesti?
 IARBA
                                                         Ho detto.
 DIDONE
 Dalla reggia di Tiro
 io venni a queste arene
170libertade cercando e non catene.
 Prezzo de’ miei tesori
 e non già del tuo re Cartago è dono.
 La mia destra, il mio core
 quando a Iarba negai,
175d’esser fida allo sposo allor pensai.
 Or più quella non son...
 IARBA
                                             Se non sei quella...
 DIDONE
 Lascia pria ch’io risponda e poi favella.
 Or più quella non son; variano i saggi
 a seconda de’ casi i lor pensieri;
180Enea piace al mio cor, giova al mio trono
 e mio sposo sarà.
 IARBA
                                  Ma la sua testa...
 DIDONE
 Non è facil trionfo, anzi potrebbe
 costar molti sudori
 questo avanzo di Troia al re de’ Mori.
 IARBA
185Se il mio signore irriti,
 verranno a farti guerra
 quanti Getuli e quanti
 Numidi e Garamanti Affrica serra.
 DIDONE
 Purché sia meco Enea, non mi confondo.
190Vengano a questi lidi
 Garamanti, Numidi, Affrica e il mondo.
 IARBA
 Dunque dirò...
 DIDONE
                              Dirai
 che amoroso nol curo,
 che nol temo sdegnato.
 IARBA
195Pensa meglio, o Didone.
 DIDONE
                                               Ho già pensato. (S’alzano)
 
    Son regina e sono amante
 e l’impero io sola voglio
 del mio soglio e del mio cor.
 
    Darmi legge invan pretende
200chi l’arbitrio a me contende
 della gloria e dell’amor. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 IARBA, OSMIDA e ARASPE
 
 IARBA
 Araspe, alla vendetta.
 ARASPE
 Mi son scorta i tuoi passi.
 OSMIDA
                                                 Arbace aspetta.
 IARBA
 (Da me che bramerà?)
 OSMIDA
                                             Posso a mia voglia
205libero favellar?
 IARBA
                               Parla.
 OSMIDA
                                            Se vuoi,
 m’offro agli sdegni tuoi compagno e guida.
 Didone in me confida,
 Enea mi crede amico e pendon l’armi
 tutte dal cenno mio. Molto potrei
210a’ tuoi disegni agevolar la strada.
 IARBA
 Ma tu chi sei?
 OSMIDA
                             Seguace
 della tiria regina, Osmida io sono.
 In Cipro ebbi la cuna
 e il mio core è maggior di mia fortuna.
 IARBA
215L’offerta accetto e se fedel sarai,
 tutto in mercé ciò che domandi avrai.
 OSMIDA
 Sia del tuo re Didone, a me si ceda
 di Cartago l’impero.
 IARBA
                                        Io tel prometto.
 OSMIDA
 Ma chi sa se consente
220il tuo signor alla richiesta audace?
 IARBA
 Promette il re, quando promette Arbace.
 OSMIDA
 Dunque...
 IARBA
                      Ogn’atto innocente
 qui sospetto esser può; serba i consigli
 a più sicuro loco e più nascoso.
225Fidati. Osmida è re, se Iarba è sposo.
 OSMIDA
 
    Tu mi scorgi al gran disegno
 e al tuo sdegno, al tuo desio
 l’ardir mio ti scorgerà.
 
    Così rende il fiumicello
230mentre lento il prato ingombra,
 alimento a l’arboscello
 e per l’ombra umor gli dà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 IARBA e ARASPE
 
 IARBA
 Quant’è stolto, se crede
 ch’io gli abbia a serbar fede!
 ARASPE
235Il promettesti a lui.
 IARBA
 Non merta fé chi non la serba altrui.
 Ma vanne amato Araspe,
 ogni indugio è tormento al mio furore;
 vanne; le mie vendette
240un tuo colpo assicuri. Enea s’uccida.
 ARASPE
 Vado; e sarà fra poco
 del suo, del mio valore
 in aperta tenzone arbitro il fato.
 IARBA
 No, t’arresta. Io non voglio
245che al caso si commetta
 l’onor tuo, l’odio mio, la mia vendetta.
 Improvviso l’assali, usa la frode.
 ARASPE
 Da me frode! Signor, suddito io nacqui
 ma non già traditor. Dimmi ch’io vada
250nudo in mezzo agl’incendi, incontro all’armi,
 tutto farò. Tu sei
 signor della mia vita; in tua difesa
 non ricuso cimento
 ma da me non si chiede un tradimento.
 IARBA
255Sensi d’alma volgare. A me non manca
 braccio del tuo più fido.
 ARASPE
                                              E come, o dei,
 la tua virtude...
 IARBA
                               Eh! Che virtù? Nel mondo
 o virtù non si trova
 o è sol virtù quel che diletta e giova. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 ARASPE solo
 
 ARASPE
260Empio! L’orror che porta
 il rimorso d’un fallo anche felice,
 la pace fra’ disastri
 che produce virtù come non senti?
 O sostegno del mondo,
265degli uomini ornamento e degli dei,
 bella virtù, la scorta mia tu sei.
 
    Se dalle stelle tu non sei guida
 fra le procelle dell’onda infida,
 mai per quest’alma calma non v’è.
 
270   Tu m’assicuri ne’ miei perigli,
 nelle sventure tu mi consigli
 e sol contento sento per te. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 Atrio.
 
 SELENE ed ENEA
 
 ENEA
 Già tel dissi, o Selene,
 male interpetra Osmida i sensi miei.
275Ah piacesse agli dei
 che Dido fosse infida, o ch’io potessi
 figurarmela infida un sol momento;
 ma saper che m’adora
 e doverla lasciar quest’è il tormento.
 SELENE
280Sia qual vuoi la cagione
 che ti sforza a partir, per pochi istanti
 t’arresta almeno e di Nettuno al tempio
 vanne; la mia germana
 vuol colà favellarti.
 ENEA
285Sarà pena l’indugio.
 SELENE
                                        Odila e parti.
 ENEA
 Ed a colei che adoro
 darò l’ultimo addio?
 SELENE
                                        (Taccio e non moro!)
 ENEA
 Piange Selene!
 SELENE
                              E come,
 quando parli così, non vuoi ch’io pianga?
 ENEA
290Lascia di sospirar. Sola Didone
 ha ragion di lagnarsi al partir mio.
 SELENE
 Abbiam l’istesso cor Didone ed io.
 ENEA
 Tanto per lei t’affliggi?
 SELENE
 Ella in me così vive,
295io così vivo in lei
 che tutti i mali suoi son mali miei.
 ENEA
 Generosa Selene, i tuoi sospiri
 tanta pietà mi fanno
 che scordo quasi il mio nel vostro affanno.
 SELENE
300Se mi vedessi il core,
 forse la tua pietà saria maggiore.
 
 SCENA X
 
 IARBA, ARASPE e detti
 
 IARBA